Corna Nibbia (2000-2010)

Le attività di scavo del Gruppo Grotte Gavardo, dopo una lunga pausa, ripresero nel 2000 con le indagini alla Corna Nibbia di Bione.
Tutto iniziò quando Silvio Vallini di Bione, spinto dalle affinità che questo riparo presentava con il Riparo Cavallino, raccolse dei materiali in superficie e li portò in Museo. I materiali non erano particolarmente significativi, ma provenivano da una parte della Valle Sabbia ancora sconosciuta dal punto di vista archeologico. Questo fatto convinse ad organizzare una prima campagna di scavo.
Le indagini, concordate con Raffaella Poggiani Keller della Soprintendenza e dirette sul campo da Marco Baioni, portarono alla scoperta di un riparo sottoroccia con deposito pluristratificato, di cui si sono riconosciute finora varie fasi di frequentazione a partire dall’Età del Rame. I principali episodi abitativi sono databili a una fase finale dell’Antica età del Bronzo, anche se il riparo risulta abitato anche nel Bronzo Medio e nel Bronzo Recente/Finale, nonché in epoca storica. Si tratta di una serie di livelli probabilmente legati a frequentazioni stagionali del riparo, caratterizzati da frammenti ceramici in posizione suborizzontale, da focolari con superficie argillosa scottata e da fossette riempite di cenere, interpretabili come punti di fuoco meno strutturati.
Asportati i livelli basali dell’antica Età del Bronzo, sono comparse strutture del tutto inaspettate inerenti a un’area funeraria dell’Età del Rame, che presenta caratteristiche molto interessanti. Si tratta di due strutture sepolcrali collettive costituite da recinti in pietra, al cui interno sono deposti numerosi resti scheletrici raramente in connessione anatomica. Il rito documentato sembra quello della sepoltura secondaria con pratiche di frantumazione e di semicombustione delle ossa, simile a quello del riparo Cavallino di Villanuova sul Clisi. Seguendo gli esempi etnografici più noti, la scarnificazione del cadavere poteva indicare l’espulsione dell’individuo dalla società dei vivi, mentre la seconda sepoltura e la frantumazione rituale dei resti ossei era forse intesa a facilitare l’assunzione del defunto nel mondo degli antenati, attraverso una sua spersonalizzazione e nello stesso tempo costituiva un rito di esorcismo volto a limitare la potenziale contaminazione proveniente dagli spiriti. Gli abbondanti materiali di corredo, in gran parte oggetti di adorno, trovano confronti nell’ambito della cosiddetta “Cultura di Civate”.